Visioni, prospettive, proposte per un rinnovamento della scena culturale

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intervista a Cesare Pietroiusti a cura di Susanna Sara Mandice

Tipologia: 
Intervista/Reportage
Data pubblicazione: 
Settembre 2009

Il pensiero contemporaneo, per definizione indefinibile, vive di suggestioni e armonie che comprendono le differenti forme del sapere. L'evoluzione del sistema culturale passa inevitabilmente attraverso la diffusione delle idee su scala internazionale e la promozione delle eccellenze. È però necessario riconoscere i limiti del sistema italiano e proporre vere e proprie rivoluzioni copernicane. Ne parla Cesare Pietroiusti ad ArtLab 09.
 
Caro Cesare, tu sei un artista contemporaneo e mi piace quindi iniziare questa conversazione proprio parlando dei limiti della cultura contemporanea italiana. Se intendiamo con il termine "contemporaneo" il lavoro di produzione e ricerca, è evidente come l'Italia manchi di prospettive. Di questi tempi essere protesi verso un ipotetico futuro sembra impossibile, basterebbe forse essere protagonisti del proprio tempo. In uno scenario di questo tipo, ci sono e chi sono i pioneri?
 
 
Sicuramente il problema del peso della nostra storia è uno dei temi cruciali che ci troviamo ad affrontare quando parliamo di beni culturali. Le funzioni di tutela, conservazione, restauro assorbono necessariamente, e giustamente, ingenti quantità di risorse. Il problema è che questa - ribadisco lecita - attenzione ha permesso che a lungo il contemporaneo fosse relegato a una posizione secondaria. L'attenzione alla produzione contemporanea (in particolare la produzione di arte visiva contemporanea) ha subìto un incremento potenziale negli ultimi sette, otto anni; certamente si tratta di un fenomeno estremamente positivo, che però contiene dei limiti ai quali dobbiamo stare attenti.
Rispetto a una ventina di anni fa, oggi c'è una nuova classe di giovani artisti interessati agli sviluppi dell'arte contemporanea; lo vedo quotidianamente nelle università e nelle scuole di formazione nelle quali insegno. Probabilmente anche nel passato ci sono state grandi quantità di giovani attenti all'arte, ma oggi gli studenti hanno accesso, grazie alla diffusione di internet e soprattutto dei motori di ricerca, a un mondo di informazioni che gli permette di confrontare il proprio lavoro e le proprie idee con quelle presenti in un contesto internazionale: vi sono interi gruppi e classi universitarie che decidono di collaborare tra loro, di immaginare nuovi spazi per promuovere, comunicare e fare ricerca artistica. I coetanei che li hanno preceduti si fermavano, invece, alle prospettive proposte dei docenti delle accademie, che proponevano un unico orizzonte autoreferenziale, asfittico e quindi depressivo; era quindi ovvio che molti giovani preferissero occuparsi di altro.
Un altro fattore di cambiamento che ritengo positivo e fondante è la fine del monopolio detenuto a lungo da alcuni soggetti nel settore dell'editoria dell'arte. Fino a una quindicina d'anni fa le riviste d'arte contemporanea erano sostanzialmente due: "Flash Art" e "Il Giornale dell'Arte". Diversamente, oggi esistono diversi free press di livello eccellente sulle pagine dei quali passa e si diffonde la cultura contemporanea, come "Mousse", "Kaleidoscope", "Nero"... Si tratta di una nuova editoria concepita da gruppi di trentenni che, nonostante la crisi, reggono e, anzi, crescono; questi stessi trentenni sono riusciti a diventare editori e organizzatori di eventi, sono credibili agli occhi della comunità artistica. Il circuito chiuso, popolato da elefanti inamovibili, è stato scalfito da un fermento e da un entusiasmo giovane e ricco, basato sul confronto con le realtà internazionali e in grado di sviluppare nuove proposte.
Dobbiamo però stare attenti a due fenomeni negativi del sistema dell'arte contemporanea italiana.
A questo fermento positivo che coinvolge gruppi di persone e istituzioni che hanno voglia di lavorare nell'organizzazione, nella comunicazione e nella gestione degli spazi dell'arte (residenze per artisti, laboratori, seminari, spazi nuovi...), non corrisponde purtroppo un fermento di ugual portata nella produzione specifica, una classe di artisti ugualmente giovani in grado di proporre un approccio critico e di ricerca di livello tanto elevato. Certamente, si tratta di un fenomeno infelice del quale non comprendo appieno le motivazioni. Provo ad azzardare che forse l'entusiasmo rispetto alle prospettive è tale da invogliare le persone più curiose e dotate a orientarsi in questa direzione, piuttosto che in quella della produzione di ricerca artistica.
Il secondo fenomeno negativo riguarda i rapporti tra arte contemporanea e politica. La classe dei nostri amministratori ha capito perfettamente che l'arte contemporanea rende molto, in termini di mercato e visibilità. Ai politici, però, interessa solo l'effetto-annuncio derivante dalla comunicazione che passa attraverso i media, il cui fine è la celebrazione dell'uomo politico (o del partito, o dell'istituzione): è importante dare in pasto all'opinione pubblica la notizia superficiale che mette in buona luce il sindaco, la regione, il ministero, senza curarsi del contenuto e della qualità della proposta culturale. Pensiamo ai grandi musei di arte contemporanea che nascono un po' ovunque, dalle grandi città ai musei dei centri urbani più piccoli: sono il prodotto di scelte politiche di questo tipo. I nostri governanti sanno bene che il grande pubblico non andrà mai a verificare il contenuto della proposta culturale, se non in occasione di grandi eventi mediatici durante i quali gli effetti psicologici collettivi offuscano il contenuto della mostra o dell'evento proposto. Il contenitore diventa perciò più importante del contenuto. I grandi investimenti ottengono sicuro impatto mediatico, sono costosi e, si sa: più soldi si spendono per le grandi opere pubbliche, più clientele e interessi si riescono a soddisfare...
Manca il confronto reale con ciò che i grandi musei e i progetti mastodontici andranno a creare uno volta costruiti, quali progetti implementeranno e che restituzione daranno alla collettività rispetto ai costi. Il denaro viene speso nella costruzione, nel recupero degli spazi, nella pubblicità, ma non nella gestione del progetto culturale. L'arte contemporanea diventa così un fattore di autopromozione elettorale che non considera i risultati della gestione della ricerca culturale a medio e lungo termine.
Queste carenze di investimento nella gestione curatoriale e scientifica sono tra le ragioni della mancanza di spessore della nostra ricerca artistica: manca l'incoraggiamento alla sperimentazione, alla ricerca.
 

Intervista completa: