L'identità visiva della Soprintendenza archeologica di Pompei
La Soprintendenza archeologica di Pompei si presenta come un caso emblematico nello scenario dei beni culturali italiano, in quanto rappresenta, sotto vari punti di vista, la sperimentazione di un cambiamento che in futuro potrà interessare gran parte delle realtà museali pubbliche del nostro Paese e che ha già visto applicazione con l’istituzione nel 2001 delle Soprintendenze speciali per il polo museale napoletano, veneziano, fiorentino e romano.
La realtà di Pompei e dei siti che fanno parte del circuito museale gestito dalla Soprintendenza (Ercolano, Oplontis, Stabia e Boscoreale), è caratterizzata da una forte complessità, sia per la dispersione di questi luoghi sul territorio circostante l’area archeologica di Pompei, sia per la molteplicità di funzioni che competono alla Soprintendenza, costituite dalle attività di tutela, ricerca, restauro e fruizione.
Il sito di Pompei, con la sua ampia estensione territoriale, la sua esposizione all’aria da secoli e i suoi oltre due milioni di visitatori annui, porta con sé molte problematiche, connesse alla conservazione, gestione e organizzazione. Il passato degli scavi archeologici è stato segnato da eventi distruttivi di natura esogena, come il terremoto del 1980, nonché da azioni sbagliate da parte dell’uomo, che hanno arrecato gravi danni e di cui possiamo citare l’utilizzo di tecniche sbagliate di restauro negli anni ’50 e la scarsità di risorse finanziarie destinate all’attività di salvaguardia. In aggiunta, negli ultimi trent’anni anche questo sito, come gran parte delle aree archeologiche in Italia, ha patito gli effetti del dilagante abusivismo edilizio che ha inevitabilmente compromesso un’adeguata conservazione.
La scarsa gestione di questa complessità, causata anche dalla mancanza di un sistema di accountability che rendesse la Soprintendenza oggetto di rendicontazione separata dal Ministero, aveva condotto Pompei ad una situazione di forte degrado.