5 motivi di resistenza al marketing nell'ambito museale

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Tipologia: 
Articolo
Data pubblicazione: 
Marzo 2001
Daniele Lupo Jallà

La recente presentazione a Torino del libro di François Colbert, Marketing delle arti e della cultura, (Etas 2000), la cui pubblicazione segue a un anno di distanza la traduzione dall'inglese di un altro importante testo - quello di Neil e Philip Kotler, Marketing dei musei, (Edizioni di Comunità, 1999) - è alla base di questa riflessione sulle ragioni per cui - in Italia almeno- il marketing continui a rappresentare un tabù per molti operatori culturali. Nel chiedermi quali resistenze profonde si siano opposte - e si oppongano - alla sua introduzione nella cassetta degli attrezzi di chi opera nella cultura, mi sembra di aver trovato cinque principali ragioni di diffidenza, resistenza, disinteresse, rifiuto.
 
Uno
Una prima ragione mi sembra essere banalmente terminologica: "marketing" appartiene a un gruppo di anglicismi guardati con particolare sospetto dagli uomini e dalle donne della cultura per la loro connessione con una dimensione - quella economica, riduttivamente associata alla logica dell'impresa e del profitto - considerata estranea, se non antitetica, all'arte, alla scienza e alla cultura. Nel caso di marketing, la parola mercato è poi direttamente presente, minacciosamente evidenziata dalla kappa. Può apparire un argomento risibile, ma la lettura stessa del libro di Colbert ci aiuta a non sottovalutare il ruolo delle reazioni emotive. Mi chiedo anche se l'uso di un termine diverso e la definizione molto semplice di marketing che da Colbert nel suo libro - "ottimizzazione del rapporto tra aziende e clienti e massimizzazione della loro soddisfazione reciproca" - non avrebbero evitato diffidenze e ripulse e penso anzi che se nella diffusione del marketing culturale fosse stata adottata una strategia di marketing, molte resistenze sarebbero forse cadute prima ancora di nascere.

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